martedì 2 giugno 2009

Boy form Hell - Mari Asato (2006)


Hideshi Hino è un artista giapponese a tutto tondo, è un rinomato fumettista di manga horror e produttore/regista della famigerata serie splatter di culto Guinea Pig, ispirata in parte ad un suoi fumetti flower of flesh and blood e Mermaid in a man hole.

I suoi lavori sono stati tradotti in varie lingue, da noi manco a parlarne se si esclude il suo “Visione d’inferno" (1992) uscito per vie miracolose.
Le storie di Hino sono frutto di un attento mix di orrori quotidiani e tradizioni folcloristiche giapponesi , filtrate in chiave horror visivamente vicine al nostro cinema di genere.

Tutto questo per introdurre Hideshi Hino's Theater of Horror, una serie di
medio-metraggi supervisionati dal "maestro" e tratti in parte da sue idee/fumetti, realizzati per il mercato Home video giapponese, il cosiddetto “V cinema” (mercato assai florido di produzioni low budget a sfondo horror splatter con picchi di erotismo ai confini col porno).
Il primo capitolo di sei, il migliore a detta di chi scrive, e l’unico preso in esame in questa sede s’intitola Boy from hell.

Daio, un ragazzino, muore durante un violento incidente stradale (scena capace di far rimanere a bocca aperta anche i più smaliziati), la madre inconsolabile darà ascolto ad una vecchia strega pazza. “Solo uccidendo un bambino della stessa età di tuo figlio, lo farai tornare da te” (passandogli uno strano artiglio in mano)

Però come spesso accade in queste storie, chi torna dall'aldilà è profondamente cambiato.
I richiami a Pet Cementary di Mary Lambert sono evidenti, anche se il film si discosta di molto per la messa in scena e la soluzione del plot, in entrambi i casi però, abbiamo due madri pronte a tutto pur di riavere il proprio figlio.

Il povero Daio torna in vita deforme e con una fame implacabile, una voracità non soddisfabile in un qualsiasi Mc Donald, e così via alla sagra del “blood & guts”!

La deformazione fisica nei film di Hino (o da lui supervisionati) è sempre il contraltare al marciume che abbiamo dentro all'animo o in macro, il marciume di una società ormai sull'orlo di un decadimento morale, un male che si nutre di se stesso, così come Daio si ciba dei suoi simili, forse per sentirsi come loro o semplicemente per vendetta. Sentimento che di sicuro attanaglia la madre ormai priva di qualsiasi rimorso o freno morale, tanto da aiutare il figlio nella caccia.

Girato in video e con abbondante uso di fondi disegnati o ripresi dai fumetti dell’autore, l'atmosfera che si respira è pregna di un malsano senso di oppressione e degrado che non viene minimamente filtrato da uno spiraglio di luce.


Le vicende di Daio e della madre fanno paura, ma una paura intima, un dolore che si stringe come un serpente al fegato, non solo per le scene gore abbondanti e "Fulciane", ma per un senso di malessere che ci trasporta nel mondo di una donna impazzita per la perdita del figlio e le conseguenze ad essa correlate.

Splatter-sociale degno del miglior Yuzna (con le dovute differenze), esempio di cinema da noi impensabile e di difficile collocazione all’interno di un panorama saturo come l’horror.


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