martedì 16 giugno 2009

Legacy of Dracula: The blood thirsty doll - Michio Yamamoto (1970)


Legacy of Dracula è il primo film di una trilogia che comprende Lake of Dracula e Evil of Dracula, diretti da Michio Yamamoto e prodotti dalla mitica Toho, famosa casa di produzione da noi nota per i film di Godzilla.

I tre film in realtà non sono correlati tra loro se non per il tema trattato, l'idea “della trilogia di Dracula” è nata a posteriori, su suggerimento dei produttori americani per cavalcare l’onda del cinema “Hammeriano” tanto in auge in quel periodo.
Il tema vampirico così come lo conosciamo noi con castelli diroccati, mantelli neri, fanciulle discinte in vesti svolazzanti e pipistrelli, è quì impastato con il classico Kaidan Eiga (film di fantasmi giapponesi).
Il Conte del titolo in realtà non fa la sua comparsa, abbiamo fanciulle vampire armate di pugnali, che compaiono tra le ombre come spettri, una specie di Sadako sotto anfetamine, o vampiri vestiti da sera con sciarpetta bianca in stile Fred Bongusto a Sanremo.
L'ambientazione è quella tipica: magioni vittoriane avvolte tra le nebbie - in Giappone? -, aiutanti in stile Igor, e situazioni che strizzano l’occhio al gotico nostrano quello più becero tipo Nuda per Satana di Solvay.

Il ritorno a casa di Kazuhiko Sagawa non è dei più felici, la sua ragazza Yuko è morta in un incidente stradale, ad accoglierlo solo la povera madre distrutta dal dolore. Durante la notte strane presenze popoleranno i sogni del giovane, l’anima inquieta della giovane defunta sembra non voler lasciare la casa.
Kazuhiko incredulo, visiterà la tomba della donna scoprendo un orribile segreto...

Non vado oltre per non svelare l'arcano, però una cosa è certa: il film si discosta molto dai classici vampiri da noi conosciuti, pur mantenendone alcune peculiarità, la storia sembra essere ispirata ad un racconto di Poe “Lo strano caso del signor Waldemar” più che ad una novella di vampiri classica.
Le atmosfere rarefatte, la magione tra le brume, e altre trovate sceniche sono di chiara ispirazione gotica, basta vedere l'uso delle luci ed ombre, per accorgersi come il regista abbia studiato il nostro cinema di genere, e perché no la Pop art.

Le atmosfere stregate di Oni Baba (1964), le immagini surreali di Kwaidan(1965) sono dietro l'angolo, anche se la poesia delle suddette pellicole non è minimamente intaccata da quest’opera sì interessante, ma dallo scarso valore artistico.
Gli spaventi ed i colpi di scena sono inesistenti, il sangue fa capolino nel finale (tipica scena con sangue a fontanella) e la risoluzione del plot è alquanto risibile. Nonostante ciò il film ha un suo fascino.
Ammaliante, morboso, decadente, intriso di quella malinconia tipica del cinema che fù, Legacy of Dracula si candida come variante surreale del mito occidentalizzato del vampiro.
Solo per fanatici dei succhia-sangue o del cinema exploitation, astenersi tutti quelli che storcono il naso davanti al fantasma paraplegico di Sadako.

domenica 14 giugno 2009

Le tombe dei resuscitati ciechi - Armando De Ossorio (1971)



Virginia salta giù dal treno sul quale è in viaggio con gli amici Roger e Betty (col la quale condivide un passato “amoroso” in collegio). Intrappolata in una situazione imbarazzante con i suoi compagni di viaggio, Virginia decide di passare la notte da sola in un antico borgo medievale disabitato.

La notte, svegliata da sinistri rintocchi di campana, scopre di essere asserragliata da un manipolo di mummie rinsecchite e indiavolate, pronte a bere fino all’ultima goccia il suo sangue.

La scomparsa della ragazza mette in moto le ricerche della polizia (che ad un certo punto del film sparisce). Tutto gira intorno a quello strano borgo, vittima in passato di strani riti, un sito maledetto e temuto ancora oggi dai paesani del luogo.

Roger e Betty con l’aiuto di Pedro, un mercenario, decidono di scoprire da soli cosa è successo a Virginia.


Quello che sorprende della vicenda è proprio la veridicità della suddetta, ovvero che dei cavalieri templari di ritorno dall’oriente (arricchiti da nuove esperienze) abbiano abbracciato un altro culto, fa riflettere soprattutto se si pensa che all’epoca la conoscenza delle altre religioni era limitata, probabilmente il volgo conosceva l’esistenza di divinità pagane o definite tali dalla chiesa, aliene (nel senso di estranee).

Tutto ciò che viene da fuori da sempre ci terrorizza, una religione diversa con i suoi dogmi ci può sembrare addirittura barbara, amorale e per questo negativa o addirittura maligna.

Ovvio, poi la vicenda si sposta sul versante fantastico e il nuovo culto diviene satanico, quindi in contrapposizione con le leggi della Chiesa e di Cristo. Insomma i templari in questione sono dei rinnegati, dei reietti senza più una “casa”.

Dopo la loro morte, con una divisa logora senza nessun simbolo che non siano i vermi della decomposizione, risorgono ogni notte condannati per l’eternità a nutrirsi di sangue, senza pace.


A differenza dei vampiri della tradizione (spesso auto-condannati per amore) il templare viene privato del lato romantico, è lui stesso la causa del suo male, sì eterno, ma non umano.

Se il morso del nosferatu è paragonabile ad un bacio di un amante (il suo bacio in genere provoca piacere: l’orgasmo), il morso del templare è alla stregua di una bestia affamata che dilania le carni.

Un’altra ipotesi che accomuna questa creatura ad una fiera è che si muove e caccia in branco come i lupi, il resuscitato cieco è un essere animato dal male, che perpetra il male con sadismo tipico dell’uomo e a differenza del vampiro: non può essere ucciso.

La creatura inventata da De Ossorio incarna l’essenza stessa del male, una creatura archetipo.


Lasciando queste elucubrazioni fini a se stesse e tornando all’opera, direi che De Ossorio sa come mettere in scena certe situazioni, la suspance non manca, e quando appaiono i resuscitati ciechi, il senso opprimente e morboso è ben tangibile.

I templari a cavallo sono sempre ripresi al rallenty, quasi ad enfatizzare il loro stato ultraterreno, come se si muovessero in uno spazio-tempo percepibile dai nostri sensi, ma ben separato dalla realtà che conosciamo.

Affascinante il flashback medievale con tanto di torture in stile Polselli et similia, capace anche di accontentare i fanatici del gore.

In conclusione questo primo capitolo della tetralogia è in grado di soddisfare gli amanti del gotico, dello splatter ed in generale tutti quelli che amano lasciarsi trasportare in viaggi onirici dove creature del male tornano sulla terra per ricordarci quanto siamo di passaggio.


Finale apocalittico con i cavalieri templari che si stagliano minacciosi sullo skyline di una città, secondo me non è un caso che Zombi 2 di Fulci finisca allo stesso modo.

La cavalcata dei morti senza occhi - Armando De Ossorio (1973)



Cinquecento anni dopo la morte dei cavalieri templari, nel piccolo paese di Berzano se ne festeggia l’anniversario. Jack Marlowe viene ingaggiato dal sindaco Duncan per organizzare i fuochi d’artificio, le cose si complicano quando scopriamo che la donna del sindaco è una ex fiamma di Jack, e tra i due arde ancora la passione.
Passione che non passa certo inosservata e richiama ben presto le attenzioni degli sgherri di Duncan (ovviamente il sindaco è una specie di mafioso locale).
Mentre i preparativi per la festa continuano, il guardiano della chiesa di Berzano (una specie di freak deriso da tutti) decide di rapire una giovane vergine per sacrificarla in nome dei templari, azione che trasformerà la festa in un massacro ad opera dei suddetti redivivi.

Sequel di Le tombe dei resuscitati ciechi che riparte da zero, ovvero lo si può benissimo vedere senza aver visto il capostipite, anzi il regista non sembra minimamente interessato alla “CONSECUTIO”, ma di questo ne parliamo dopo.

Il film inizia con una magistrale sequenza di tortura, vediamo i Templari legati a colonne dai paesani inferociti, che prima di bruciarli vivi decidono di accecarli con le fiamme delle torce (scena che non lascia nulla all’immaginazione).
In effetti, questo sembra essere il punto di svolta rispetto al primo episodio, il regista accantona (non li elimina) i momenti prettamente gotici e punta tutto sul ritmo e l’azione, non lesinando sul sangue: elemento che seppur presente nel precedente film era relegato in secondo piano.
Il tripudio di arti amputati, cuori estirpati, decapitazioni e infilzamenti, faranno la felicità di tutti gli amanti del gore d’annata.
Come se non bastasse il regista si concentra anche sulla costruzione di personaggi credibili (per quanto stereotipati) che lascia intendere una maggior cura in fase di scrittura, anche se poi il tutto si riduce ad una schematizzazione di luoghi comuni obsoleti già allora.
Il cuore pulsante della pellicola è da ricercarsi nella sequenza centrale ambientata in una chiesa dove i superstiti si rifugiano per sfuggire ai templari (scena che rimanda alla mente molti classici), e che in qualche modo ha ispirato la sequenza di assedio in Zombi 3 di Fulci/Mattei/Fragasso: alcune inquadrature sono le medesime (un caso?).
Il manipolo di sopravvissuti è in realtà un micro(macro)cosmo dove convivono tutti gli archetipi del genere: l’eroe coraggioso e altruista, l’ingenuo, l’avido senza scrupoli capace anche di mandare al macello una bimba (sequenza agghiacciante, non per la violenza fisica, ma per quella psicologica).
Isomma un campionario d’umanità pronto ad esplodere, cosa che puntualmente accade.

La cavalcata dei morti senza occhi è in un certo senso più “completo” e commerciale rispetto al suo predecessore, il ritmo è più sostenuto, non ci sono tempi morti e l’atmosfera gotica (pur presente) lascia il passo a l’azione da guerriglia urbana. Insomma più appetibile anche da parte dei non amanti del genere.

“De Ossorio e la “Consecutio”
Parte prima.
Sin dalle prima sequenza è chiaro che al regista non importa quanto narrato in Le tombe dei resuscitati ciechi, infatti tutti gli accadimenti narrati in precedenza vengono accantonati, addirittura la nascita dei templari viene modificata:
1 - I templari non sono stati impiccati, ma bruciati vivi.
2 - I corvi non hanno mangiato i loro occhi, ma sono stati bruciati dai paesani con delle fiaccole.
3 - l’aria d’immortalità dei templari è quà disintegrata in un paio di scene dove semplici torce bruciano i templari con una facilità incredibile.
Nel finale muoiono da soli alle prime luci dell’alba.
Fine prima parte.

martedì 9 giugno 2009

Una magnum per McQuade - Steve Carver (1983)


Cosa ci fa avvicinare ad un film?
I motivi sono spesso disparati: un attore per il quale andiamo pazzi, il nostro regista preferito, la promessa di scene splatter mai viste, o nel “peggiore” dei casi due belle tette.
Nel caso di un film di Chuck Norris, spesso i motivi rimangono nebulosi, ma Una magnum per McQuade (Lone wolf McQuade) ha indubbiamente una marcia in più, volete mettere la possibilità di vedere contrapposti due icone del cinema di serie B come Carradine e Norris stesso?

McQuade è un ranger solitario, di quelli con un matrimonio fallito, perché il lavoro viene prima di tutto. Armato con una magnum dai riflessi argentei (come la stella che porta sul petto), e forte delle sue abilità nelle arti marziali, McQuade affronta le situazioni pericolose con la battuta sempre pronta (complimenti al doppiaggio italiano dai toni decisamente coloriti).
Dopo aver sgominato dei ladri di bestiame a suon di mitragliate alla Rambo, e qualche calcio nei denti ben assestato, McQuade scopre uno strano giro d’armi rubate che coinvolge Wilkes (David Carradine), un noto uomo d’affari ex campione di karate, ma guarda un po’!
Le strade dei due s’incroceranno diverse volte prima della resa dei conti, sublimata all’invero simile, e coronata con uno scontro ai limiti dell’epico.

Il titolo italiano richiama sin da subito lo spaghetti western, e per una volta tanto non ci va lontano, infatti lo “score” iniziale ad opera di Francesco De Masi, farcito di cori e zufoli è un evocativo omaggio a Morricone.
Le prime immagini che vediamo (in un sapiente montaggio) ci fanno subito capire l’atmosfera della vicenda: un lupo che si aggira nel deserto (riferimento al carattere solitario del protagonista), dei cavalli al galoppo tra nuvole di polvere, e ripetuti primi piani degli occhi (mono espressivi) di McQuade sono un ottimo biglietto da visita.
Il regista e produttore Steve Carver cita Leone conscio dei propri mezzi, giocando con i personaggi, basta notare l’entrata in scena di Norris in controluce ripreso dal basso, quasi a simboleggiare il suo status mitico, o la prima apparizione di Carradine col classico sigaro alla Eastwood.
Carver non si limita al western, il suo approcio abbraccia diverse correnti dell’action movie degli anni 80s, primo fra tutti il buddy-movies; da solitario, McQuade sarà costretto a fare coppia con una giovane recluta prima, e nel pirotecnico finale, il duo sarà affiancato da un agente del F.B.I di colore, stranamente questa volta il “negro” non muore.

Centodue minuti di Chuck Norris sono difficili da digerire, se ad attenderci non c’è una ricompensa adeguata, infatti, quando le esplosioni ed i morti ammazzati non si contano più, in un finale che anticipa di qualche anno Commando, Carradine e Norris finalmente si troveranno faccia a faccia in un duello di proporzioni bibliche.
Duello che inizia sui dei veicoli, in una sorta di prova di forza, e prosegue, come era lecito aspettarsi a mani nude, concludendosi come solo un film d’azione degli anni ottanta sapeva fare.
Only the strong survive!

venerdì 5 giugno 2009

Capitan Kronos cacciatore di vampiri - Brian Clemens (1974)


Capitan Kronos è un baldo giovane cacciatore di vampiri con un passato come guardia imperiale (non si capisce di chi, ma non è molto importante), armato di fioretto e katana, si presume abbia viaggiato in lungo e in largo a caccia di vampiri, viene nominata persino la Cina, combatte il male in ogni sua forma preferibilmente a calci in bocca.
Kronos è accompagnato in questo oscuro peregrinare da un assistente, il professore Grost, esperto in scienze e quant'altro abbia a che fare con la magia (anche se durante il film rimane in disparte come una bomboniera della prima comunione).
La vicenda ha inizio con i due che arrivano in soccorso ad un villaggio, chiamati da un vecchio compagno d'armi di Kronos.
Il mistero riguarda la sparizione di alcune fanciulle, ritrovate poi morte, prosciugate della linfa vitale.
E’ chiaro sin da subito, almeno lo è per Kronos, che le morti sono correlate ad una qualche maledizione/sortilegio che affonda le proprie origini nell'oscurità delle tenebre. Kronos dovrà affrontare le creature della notte: i Vampiri.
Le premesse sono piu' che affascinanti se si pensa che il film è dei 70' cosi' come la regia e la fotografia sono molto curate rispetto agli standard della Hammer, peccato la storia prenda piede troppo tardi per l'economia del film (l'ultima mezz'ora) senza contare un blocco centrale un po' lento anche per certe produzioni.
Insomma un film interessante per gli appassionati del genere (una specie di Blade ottocentesco), per tutti quelli che amano vedere dolci fanciulle preda di voluttuosi desideri inconfessabili, e atmosfere rarefatte come solo la Hammer era capace.
Qualche duello all’arma bianca in più ed un pizzico di emoglobina non avrebbero certo stonato…
Da notare la partecipazione della bellissima Caroline Munro, l’indimenticabile Stella Star protagonista assoluta in Star Crash di Luigi Cozzi.

Evil Breed “The legend of Samhain” - Christian Viel (2003)


Slasher che più tipico non si può, girato con pochi mezzi e giovani “attori”
dal futuro incerto, e visto il risultato è meglio che il regista si guardi intorno…
Allora, abbiamo le solite fighette americane tutte curve pronte a fare sesso in qualsiasi momento, io non avevo delle compagne di classe così. Ragazzetti strapieni di steroidi con un Exogino al posto del cervello, personaggi di contorno per creare qualche falso indizio ed in fine la partecipazione straordinaria della pornostar Jenna Jameson (i maschietti sicuramente la conoscono).
Aggiungete a tutto questo il classico bosco in riva ad un lago (vi dice qualcosa?), dialoghi idioti finto-cinefili come quelli di Scream ma più beceri, e la festa pagana di Samhain giusto per dare un chè di occulto.
Insomma, la solita storia, i soliti personaggi ed un finale che non sta ne in cielo ne in terra, ma va bene lo stesso.
L’assassino di turno è una sorta di freak deforme (tranquilli non è uno spoiler, lo si capisce subito), gli omicidi sono delle palesi citazioni: si va dai feti brutalmente estratti (Antropophagus), a coltellate in bocca (Fulci), o deliranti, come il tipo che viene strozzato dalle interiora direttamente estratte dal proprio ano, mi ricorda una canzone dei Cannibal Corpse o quel delirio kung fu-splatter di Story of Ricky.
Come avete capito lo splatter c’è, non di ottima fattura, ma comunque godibile.
Se amate il genere non rimarrete delusi, il massimo sarebbe vederlo con amici tra bottiglie di birra è quant’altro possa alterare la vostra percezione della realtà.

giovedì 4 giugno 2009

Frankenfish - Mark Dippè (2004)


Torna l’eco-vengeance e lo fa in modo divertente e molto splatter, sembra di esser tornati ai tempi in cui cani idrofobi scorrazzavano per le città, coccodrilli giganti cresciuti nelle fogne seminavano il panico, conigli giganti devastavano fattorie, squali bianchi infoiati molestavano i bagnanti e le orche avevano l’hobby dell’omicidio. Insomma, la rivolta della natura contro un uomo che si crede padrone!
Frankenfish è figlio di questo filone che negli anni ritorna puntuale con una manciata di film sempre interessanti. Questa volta i protagonisti sono i pesci: modificati geneticamente da ricchi cacciatori senza scrupoli, pronti a tutto, anche a sovvertire le regole della natura, (il monito è chiaro) pur di realizzare i propri sogni di caccia.
Il bello di questo genere è che riesce sempre a cavalcare le paure e le ansie del momento.

Luogo:
Paludi della Louisiana, location affascinante e claustrofobica, dove la natura cresce selvaggia e l’uomo è un ospite che puzza come il pesce dopo pochi giorni.

Protagonisti in ordine di apparizione:
Un medico legale di colore (l’eroe della situazione), una biologa asiatica (il pelo giallo tira ultimamente), una coppia di hippy strafatti, un reduce del Vietnam convinto ancora di essere in guerra (affronterà un pesce mutante armato di machete e fucile a pompa), una vecchia esperta di Voodoo, la figlia della vecchia (fighetta di colore uscita direttamente da un video rap) più un altro paio di tizi nel ruolo di mangime vivente.

Mostro:
Pesce serpente, carnivoro, modificato geneticamente, in grado di respirare e uccidere fuori dall’acqua, la grandezza media è di cinque metri, ma il boss finale è almeno sette.

Questi gli ingredienti del film di Dippè già “regista” del film Spawn, che per non smentirsi ci regala un’altra regia piatta ai limiti di un Beautiful e una fotografia in stile Bim Bum Bam. La recitazione è nella media di questi prodotti, gli effetti speciali in digitale animatroni compresi, sono realizzati discretamente: Dippè nasce artisticamente come addetto agli effetti speciali.
La suspance è accettabile e la durata influisce in modo positivo, 81’ minuti a base di pesci giganti, e azione stile anni ottanta si digeriscono come una coca ghiacciata ad Agosto.
Piccola sorpresa questo Frankenfish, tanto splatter in C.G.I. e secchiate di sangue a manetta, certo il deja vu è dietro l’angolo e la cagneria del regista è preoccupante, ma ciò nonostante il divertimento non manca.

Django il bastardo - Sergio Garrone (1969)


Immaginate il classico villaggio semi-abitato spazzato dal vento del deserto, avvoltoi che volano in un cielo plumbeo girando in circolo nell'attesa di un buon pasto.
In questo paesaggio funereo si fa strada un uomo di nero vestito, avvolto in un mantello più scuro di una notte senza stelle, il suo passo è deciso, niente lo turba.
Si ferma davanti ad un saloon, accende un mozzicone di sigaretta e subito il volto s’illumina del colore della vendetta, dà uno sguardo in giro, estrae dal mantello una croce in legno con un nome inciso sopra, si concede una boccata di fumo e la pianta a terra.
La sparatoria a seguire dimostra l’assoluta superiorità di Django nel dispensare morte, capacità che nel corso della vicenda diventa quasi arte “funerea”.
Inizio folgorante per questo western dalle tinte gotico-horror, interpretato da Anthony Steffen protagonista d’innumerevoli western; partendo dai Django apocrifi, ai vari Sartana e Sabata, Shango, Garringo, Apocalisse Joe e persino Arizona!
Girato con mano esperta da Sergio Garrone, abile mestierante del western e non solo, sono famosi (decidete voi se per meriti o demeriti) gli ormai classici eros-svastika: SS lager 5: L’inferno delle donne (1977) e Lager Ssadis Kastrat Kommandantur (1976).
Fortunatamente in questo caso -a differenza dei sopraccitati- Garrone svolge un lavoro più che ottimo riuscendo nel difficile intento di unire le atmosfere del cinema gotico con quelle Western, andando ad arricchire quel sottofilone crepuscolare nato con Django (1966) di Corbucci e portato alla perfezione sempre dallo stesso con Il grande silenzio (1968).
Le l'atmosfere plumbee, la messa in scena di simbologie funeree fanno di Django il bastardo un western sui generis, il lato “crepuscolare” cede ben presto il passo ad atmosfere addirittura horror.
Il protagonista si muove solo di notte, appare dalle ombre (tanto che tutti pensano sia un fantasma) e scompare tra di esse in un batter d'occhio. A conferma della sua presenza rimangono solo cadaveri con a fianco una croce!
La trama, che ovviamente è solo un pretesto per la carneficina, racconta di un tradimento durante la guerra di secessione da parte di tre ufficiali e il conseguente massacro. Django, unico “sopravvissuto”, riapparirà dalle ombre come un fantasma per vendicarsi.
Plot non dissimile da High Plains Drifter (1973) di Clint Eastwood, conosciuto da noi col nome di Lo straniero senza nome, anche se il tema della vendetta (con le sue varianti) è uno dei temi cardine del Western.
In conclusione lasciatevi cullare dall'atmosfera e godetevi il rito mortuario!

martedì 2 giugno 2009

Pirati dei Caraibi Ai confini del mondo - Gore Verbinski (2007)

Terzo e conclusivo (si spera) episodio della Walt Dysney dedicato al mondo picaresco creato da Verbinsky. Torna nel bene e nel male tutta la compagnia che abbiamo imparato a conoscere nei precedenti episodi.

L’odioso Lord Beckett portavoce dell’imperialismo più sfrenato -vedi la Compagnia delle Indie Orientali- intenzionato a “disinfestare” il mondo dall’orrida piaga dei pirati, il tenace Will (Orlando Bloom) dall’espressività di una cassapanca, deciso a tradire le persone a lui care pur di salvare il povero padre “dannato”. La bella Elisabeth (Keira Knightley) sempre più magra ed incazzata che mai, altro che le businesswoman di oggi, farà strada la signorina piratessa…(questa la capite dopo aver visto il film).

Il pirata Barbossa sconfitto nel primo film torna alla fine del secondo in versione zombi (anche se non si nota la differenza) riesumato dal mondo delle ombre ad opera della dea dei mari Calypso, pronto a riunire un consiglio di super pirati per opporsi alle mire espansionistiche della succitata Compagnia delle Indie bla bla bla...

Prima di tutto però, bisogna recuperare la star: Capitan Jack Sparrow (Johnny Depp) finito nelle fauci del Kraken alla fine del secondo episodio.

L’avventura inizia in quel di Singapore ritratta come una fogna di Calcutta, dove i nostri allegri e zozzi pirati dovranno recuperare (rubare) una mappa al temibile Capitan Sao Feng (Chow yun Fat, cosa si è ridotto a fare…) pirata con più cicatrici di Marilyn Manson, anche lui invischiato in questo gioco di potere vero fulcro di questo terzo film.

Ovviamente all’appello non manca il soprannaturale vascello Olandese Volante comandatao da Davy Jones, metà uomo e metà polipo, condannato a solcare i mari per l’etrnità un po’ come succede a Capitan Findus.

Come avete capito questa volta le carte in tavola sono tante, forse troppe, infatti pare essere proprio questo il punto debole del film. Troppo corto per narrare al meglio ogni singola sottotrama (una mini serie sarebbe stata la cosa più saggia) e troppo lungo per un film di puro intrattenimento.

In alcuni momenti la sceneggiatura corre impazzita dando luogo a situazioni quasi ridicole (vedi il risveglio della Dea Calypso) o i “solos”schizzati di Jack Sparrow degni di un film di Gilliam, ma dannatamente avulsi dal contesto e spiazzanti per continuità del film. Tanta carne al fuoco insomma, personaggi che compaiono e scompaiono senza una motivazione e situazioni che definire becere è poco, nonostante ciò il film diverte in virtù di un apparato scenico di grande livello.

Gli effetti speciali della Industrial Light And Magic e della Digital Domain fanno la differenza, soprattutto nel caotico finale dove i vostri occhi verrano spazzati via dalla maestosità degli scontri navali, un turbinare di acque in tempesta, di cannonate, spadate, pistolettate, esplosioni e chi più ne ha ne metta, da lasciare senza fiato anche uno spocchioso esigente come me.

Inutile cercare altro come ho letto in giro, il tema del viaggio inteso come scoperta/crescita, un percorso iniziatico costruttivo e le sue dirette consegenze…

Certo, è un film della Dysney non vi aspettavate mica una gang bang con Keira Knightley vero?

Soddisfacente conclusione di questa saga che mette indiscutibilmente la parola fine lasciando però un finale decisamente aperto. Difficile fermare un brand che incassa così tanto, ho l’impressione che rivedremo molto presto lo stralunato Sparrow e la sua Perla Nera all’orizzonte.